Stimolando direttamente il cervello con degli elettrodi, saremo in grado sostituire le funzioni cognitive perdute o di potenziare le nostre capacità sensoriali, cognitive o mnemoniche.
Elettricità animale
I sistemi nervosi funzionano grazie a un flusso di correnti elettriche che attraversano reti densissime e iperconnesse di elementi. Ecco perché attraverso la stimolazione elettrica di alcune aree del cervello si è in grado di provocare delle sensazioni e delle percezioni precise. Da un paio di secoli ormai ci è chiaro che le fibre nervose trasmettono “elettricità animale” non dissimile per natura da quella “atmosferica”. A scoprirlo fu Luigi Galvani, verso la fine del Settecento, collegando il corpo di una rana morta a un lungo filo metallico che puntò verso il cielo durante un temporale: a ogni fulmine scagliato, la zampa dell’animale scattava e si contraeva.
Studi successivi, poi, dimostrarono che la stimolazione di particolari regioni cerebrali innesca movimenti in muscoli specifici, ricerche che, intorno al 1870, portarono alla scoperta della corteccia motoria. Da lì si arrivò a quella che ancora oggi conosciamo come stimolazione elettrica intracranica (iES, intracranial Electrical Stimulation), arma strategica dei neurochirurghi, soprattutto per curare persone affette da epilessia. In alcune di queste, infatti, i farmaci non controllano a dovere la gravità delle crisi: in questi casi si può ricorrere alla neurochirurgia se gli attacchi epilettici nascono da una zona ristretta della corteccia. Il dilemma è quanto tessuto cerebrale rimuovere:se ne viene rimosso troppo, si rischia di perdere la capacità di parlare, vedere o camminare; mentre troppo poco si rischia di non avere alcun giovamento delle crisi epilettiche.
La stimolazione elettrica intracranica (iES)
Ed è proprio qui che entra in gioco la stimolazione elettrica intracranica: grazie a degli elettrodi inseriti all’interno del cranio, infatti, si riesce a individuare il tessuto che deve essere preservato e il punto da cui nascono le crisi, che viene dunque rimosso liberando il paziente dagli attacchi epilettici. Questi elettrodi vengono anche lasciati in sede in modo permanente, per controllare i tremori e la rigidità della malattia di Parkinson (stimolazione cerebrale profonda) o per ridurre l’incidenza delle crisi epilettiche. Al momento, inoltre, la sperimentazione clinica sta cercando di creare simili dispositivi elettrici impiantati anche per curare la depressione o i disturbi ossessivo-compulsivi. Ma non solo: applicare l’iES alla corteccia visiva, per esempio, stimola delle sensazioni ottiche conosciute come fosfeni, delle luci simili ai lampi. Tale informazione è la fonte di una speranza di lunga data: restituire la vista, almeno in parte, alle persone cieche. In tale direzione si è sviluppato il dispositivo Orion, della Second Sight Medical Products di Los Angeles, una minuscola videocamera montata su degli occhiali che converte le immagini in impulsi e li trasmette wireless per attivare 60 elettrodi collocati sulla corteccia visiva. Le persone a cui è stato impiantato questo dispositivo nel cervello percepiscono nuvole di puntini che permettono loro di orientarsi nello spazio, di riconoscere figure, forme e addirittura lettere.
Come sarà il futuro?
Il progresso delle interfacce cervello-macchina va molto veloce: la società di Elon Musk, Neuralink, ha già diffuso un incredibile video che mostra una scimmia mentre gioca al videogioco Pong senza alcun controller. Come ci riesce? Grazie a due chip impiantati nella corteccia motoria sinistra e in quella destra, i quali, comunicando con i neuroni, trasmettono l’intenzione della scimmia di muovere la racchetta per lanciare la pallina sul lato opposto dello schermo. Tutto in modalità wireless, senza fili penzolanti dalla testa della scimmia.
In molti credono che prossimamente riusciremo a sostituire organi o componenti biologici malfunzionanti con sostituti elettronici superiori. Sì, è possibile, anche se non bisogna sottovalutare che in genere per tradurre in pratica la teoria scientifica ci vogliono decenni. La tecnologia Neuralink rappresenta la migliore tecnologia attuale, ma c’è ancora molta strada da fare prima di identificare quali neuroni siano coinvolti in una data percezione o azione. Solo quando lo sapremo con certezza, infatti, potremo limitare la stimolazione elettrica a quei neuroni senza disturbare o intralciare il lavoro di quelli vicini. Inoltre vi sono anche ostacoli chirurgici: i dispositivi protesici dovranno essere impiantati di routine perforando il cranio, minimizzando il rischio di infezioni, emorragie o crisi epilettiche, e soprattutto dovranno resistere per anni in un ambiente caldo, umido e ricco di sali, dunque in un contesto operativo per niente semplice. Perciò, per il momento, gli impianti neurali restano una soluzione estrema per persone con gravi deficit sensoriali o motori, casi in cui i benefici di un intervento chirurgico così invasivo prevalgono su rischi e costi.
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