L’uso degli strumenti digital sul lavoro è cresciuto enormemente con la pandemia, ma quando questo può sfociare in abuso?
Viviamo in un mondo in cui le distanze sono sempre più relative, dove ogni schermo può portarci in contatto con l’intero pianeta. Il digital ormai è una parte della nostra realtà e durante l’emergenza Covid ha mostrato le sue potenzialità in ogni campo. Tra scuola, sociale e lavoro i campi di applicazione sono stati molteplici ed è soprattutto in ambito professionale che i risultati sono stati apprezzati.
Lo smart working ha cambiato la faccia dell’industria e ha permesso a molte persone di mantenere il proprio posto anche se impossibilitati ad andare in ufficio. Rimuovendo la necessità di recarsi fisicamente sul luogo si sono creati nuovi scenari prima inediti, che possono portare a grandi benefici se sfruttati al meglio. Non è però tutto rose e fiori: ci sono anche dei rischi legati a questo metodo di lavoro che devono venire ponderati attentamente.
Gli abusi e i rischi per la salute
Si tratta sicuramente di un grande traguardo per il digital, che ha potuto mostrare le sue infinite possibilità in ogni ambito. C’è però una cosa che effettivamente potrebbe causare dei problemi: è accaduto tutto troppo in fretta. Sono anni ormai che affermo che i social e le tecnologie digitali rappresentano il presente, non il futuro, in un paese fin troppo ancorato al passato. Adesso, a causa del coronavirus, tutti si sono dovuto forzatamente adeguare nel giro di pochi mesi senza davvero conoscere questi strumenti.
Con una simile “indigestione informatica” è normale che nascano delle complicazioni. Pur non parlando di strumenti innovativi molte persone si sono dovute adattare a sistemi lavorativi, situazioni e ritmi a cui non erano affatto preparati. Per alcuni lavoratori ad esempio questo ha significato il non poter mai tecnicamente “staccare”, creando una fonte continua di stress che e poi sfociata nel burnout.
La sindrome da burnout è una condizione causata da stress intenso e prolungato e presenta diversi sintomi fisici e psicosomatici. Tra questi ci sono emicranie, colon irritabile, insonnia e sintomi psicologici come stati d’ansia, attacchi di panico ed episodi depressivi. È chiaro che un simile stato di salute può influire pesantemente sia sulla sfera lavorativa che privata, portando il soggetto ad accumulare maggior stress e di conseguenza a peggiorare.
Qual è quindi la verità?
La verità, come al solito, sta nel mezzo: non si può giudicare in termini di assoluti ma bisogna valutare ogni caso in maniera a se stante. Stiamo parlando di equilibri che variano da individuo a individuo e quindi è logico che non si possano stabilire limiti esatti. Sta al datore di lavoro e al dipendente stesso valutare l’effetto e l’efficacia dello smart working sul proprio lavoro.
Per esempio in casi di impieghi con bassa interdipendenza da altri lavori e alta autonomia, lo smart working può produrre ottimi risultati. Al contrario posizioni che necessitano di lavorare a stretto contatto con altri reparti e consentono poca autonomia potrebbero non essere adatte al lavoro telematico. Attualmente in Italia la situazione legislativa per il lavoro online non è ancora del tutto definita e per questo è importante muoversi adesso.
Lo smart working farà sempre più parte della nostra vita, inutile pensare il contrario. Quello però che è necessario capire è che non si tratta di un qualche strumento “magico”. Come ogni sistema presenta dei pro e dei contro che vanno valutati attentamente e considerati caso per caso. In un mondo ormai digital sta a noi uomini capire come usare al meglio tutti gli strumenti che abbiamo creato per rendere migliore la nostra vita.
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