Facebook e il revenge porn
Sembra uno scherzo, ma non lo è: Facebook chiede agli utenti di condividere le proprie foto di nudo online per impedire il revenge porn.
Facebook (ora noto come Meta) ha co-sviluppato una piattaforma per impedire il “revenge porn” in un modo che ha dell’assurdo: chiedendo alle persone di condividere online le proprie fotografie e video di nudo. Si chiama StopNCII.org ed è uno strumento che permette agli utenti di evitare che le loro immagini intime vengano caricate su piattaforme come Facebook o Instagram senza il loro consenso.
Facebook e Revenge Porn Helpline
Il sistema, reso pubblico dall’organizzazione britannica Revenge Porn Helpline, si basa su un programma pilota avviato proprio da Facebook nel 2018, e permette alle persone che temono che le loro foto o video a sfondo sessuale vengano condivisi senza il loro consenso di inviare i contenuti in questione a un sito web centralizzato.
Nel rispetto della sicurezza e della privacy delle potenziali vittime, la piattaforma utilizza una tecnologia che esegue l’hashing di immagini e video direttamente sui dispositivi: in questo modo, foto e video sensibili non possono essere caricati su server terzi senza il consenso del proprietario.
Facebook dichiara che il sistema è stato sviluppato “con privacy e sicurezza in ogni sua fase”. La società, infatti, afferma che solo gli hashtag vengono condivisi con StopNCII.org e le aziende tecnologiche che partecipano al progetto, e che le immagini e i clip espliciti non lasciano mai il dispositivo dell’utente, rimanendo sempre in possesso esclusivo del proprietario. Sophie Mortimer, responsabile della Revenge Porn Helpline, ha affermato che il nuovo strumento rappresenta “un cambiamento epocale nel modo in cui le persone colpite dall’abuso di immagini intime possono proteggersi”.
Come funziona la piattaforma
Le piattaforme che partecipano a StopNCII.org (per ora solo Facebook e Instagram) ricevono l’hash e lo possono usare per identificare se qualcuno ha condiviso o sta provando a condividere quei contenuti. Se venissero rilevate corrispondenze, il caso verrebbe assegnato ai moderatori di contenuti, pronti a esaminare le immagini per assicurarsi che non violino le linee guida ed eventualmente bloccare ogni tentativo di caricarle sulla piattaforma. Le persone che inviano materiale al sito possono seguire il loro caso in tempo reale o decidere di ritirarlo in qualsiasi momento. L’idea è quella di prevenire la diffusione non consensuale di immagini intime, invece di rimuoverle dalle piattaforme quando sono già in circolazione. Per ora, solo le persone sopra i 18 anni possono ricorrere a StopNCII.org.
Un problema in grave aumento anche in Italia
Il sito al momento è disponibile soltanto in inglese, ma è accessibile da qualsiasi paese ed è stato ideato con la collaborazione di oltre 50 organizzazioni partner in tutto il mondo. Secondo il report State of Revenge pubblicato lo scorso novembre da Permesso Negato (un’associazione no-profit di promozione sociale che applica tecnologie, strategie e politiche per la non proliferazione della Pornografia Non Consensuale), anche in Italia il problema sta diventando sempre più grave.
L’analisi si concentra su Telegram, l’app che nel nostro paese viene utilizzata di più per fare circolare materiale intimo non consensuale, e sottolinea che tra il 2020 e il 2021 i gruppi e canali italiani che condividono questo genere di contenuti sono duplicati, salendo da 89 a 190: complessivamente, gli iscritti a questi canali sono quasi 9 milioni.
“Numerosi sono i siti e i canali social dedicati alla diffusione di pornografia non consensuale, che oltretutto incoraggiano in una sorta di gara i propri utenti a caricare video intimi degli attuali o ex-partner, al fine di condivisione, di scambio o di mera valutazione”, si legge nel report. “Ad aggravare la situazione, una cospicua parte del materiale viene corredato da nome, cognome e collegamenti ai profili social personali delle vittime oltre che (meno spesso) indirizzi mail o numeri di cellulare. Le conseguenze di questo fenomeno sono spesso devastanti per la vittima, con ripercussioni non solamente sul piano psicologico e reputazionale, ma sempre più spesso anche sul piano lavorativo”.
Telegram, al momento, non appare tra le numerose aziende che hanno annunciato di voler partecipare al programma di tutela e, considerata la riluttanza della compagnia a esercitare una seria moderazione dei contenuti presenti sulla piattaforma, è improbabile che lo farà. D’altro canto, è anche vero che chiedere agli utenti di condividere “apertamente” foto intime non è né una buona idea né una soluzione, anche perché Facebook potrebbe essere hackerato come nel caso di Cambridge Analytica.
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